Buone feste dal Comitato con l’ultimo numero dell’anno del nostro giornalino!

Dio fornisce il vento, ma l’uomo deve alzare le vele

 S. Agostino

“Vietato lamentarsi”  recita il cartello che Papa Francesco ha appeso alla porta del suo studio, un dono di un noto psicoterapeuta, Salvo Noè,  che il Santo padre ha deciso di adottare come suo motto.

Il  lamento purtroppo è diventato un percorso privilegiato della nostra comunicazione, ormai  siamo  diventati  un popolo  di  lamentosi,  vittime sempre di qualcosa o di qualcuno.

Tutti conosciamo le difficoltà della vita, ma la strada per superarle non può essere certo quella del vittimismo, ma, al contrario,  il percorso giusto  va  trovato  nella  volontà  di  agire  per  cambiare  al  meglio  la  nostra condizione e quella del nostro prossimo.

“Può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”  diceva  Martin Luther  King;   credo  non  ci  sia  posto  migliore  del  Comitato dove questi valori sono  continuamente messi  in  pratica, senza tante chiacchiere.  

Grazie a tutti per il vostro incessante impegno.

Buone feste a voi e ai vostri cari.

 Davide

 

Ancora in campo per i terremotati

Come promesso dopo la costruzione e l’inaugurazione della strutturapolifunzionale di Caldarola, ora pienamente attiva, con le somme rimaste e quelle pervenute nel frattempo, il Comitato ha deciso di donare al Comune di  Castelsantangelo sul Nera, quasi completamente distrutto dalle scosse dell’ottobre 2016, una “terna”, una macchina simile ad un trattore, in grado di svolgere più funzioni, dalla rimozione delle macerie allo sgombero della neve che in inverno cade abbondante in quel paese sito ad 800 metri di altezza. L’ importo di questo nuovo intervento è di circa 67.000 euro.  Il mezzo è già arrivato e pronto, verrà consegnato quanto prima.

 

LA  CARITÀ

    C’è una bellissima pagina di Vangelo, quella che abbiamo letto Domenica 26 Novembre, in cui, in occasione del Giudizio universale, il Signore opererà una separazione: alla sua sinistra andranno i dannati e alla destra i benedetti.

    Ma quale sarà il metro per operare tale separazione? Gesù dice: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,31-46). Come vedete non c’è alcun riferimento alla conoscenza di dottrine o di pratiche religiose in tutto questo, che sarebbero sterili se mancasse la carità fattiva.  Chi dovesse pensare che il Vangelo non è concreto sappia che si sbaglia. Cosa c’è di più concreto che dare da mangiare, dare da bere, vestire….?   Non cadiamo nell’errore di pensare alle parole di Gesù lontane dalle esigenze dell’uomo, e alla Chiesa come un’organizzazione di parolai.

    Essere cristiani e sporcarsi le mani per il prossimo sono strettamente legati. 

    Eppure tutto questo potrebbe non bastare per definirsi bravi cristiani e uomini veri. 

    Ad un corso di esercizi spirituali mi colpì la frase del predicatore che diceva grossomodo così:  “Quando si presenta davanti a voi un povero, non dovete pensare se di quello che vi chiede ha necessità veramente.  Voi siete responsabili del fatto che a quella richiesta risponderete di sì o di no”.   Al primo ascolto questa frase può sembrare sommaria, ma, se ci pensiamo attentamente,  essa  smaschera la vera intenzione delle nostre azioni.  Se uno,  che apparentemente si presenta ai miei occhi come un povero disgraziato, mi chiede 5 euro perché non ha da mangiare, del cibo o qualsiasi altra cosa… spesso mi salta alla mente il sospetto che forse non ne ha veramente bisogno, e che quei 5 euro li potrebbe andare a spendere in bottiglie di vino e magari non gli faccio neanche un servizio nel darglieli; che, forse, il cibo che gli do andrà buttato nel bidone perché…. loro non sono come noi che abbiamo la cultura del risparmio del  “non si butta via niente”, del sacrificio, perché, “per loro, tutto è dovuto”…. 

    Mi sono accorto che la frase del predicatore è veramente utile a smascherare le mie reali intenzioni. Da quella volta io mi chiedo sempre: “Cosa faccio? Glieli voglio dare i soldi, sì o no?  Gli do o no la sportina con il cibo?….”

    E’ chiaro a tutti: la carità deve essere intelligente, ma è anche vero che essa non deve puntare soltanto all’uso corretto dei beni, essa  prima di tutto deve essere uno sguardo complessivo su colui/colei che mi sta davanti e mi chiede, anche se a volte “pretende”.

 Anche l’atteggiamento di pretesa è una povertà ed io devo starci davanti sapendo che dovrò chiedermi: “ci sto oppure non ci sto?, mi faccio carico delle povertà di questo povero disgraziato oppure no?”.   Intendiamoci: anche se qualche volta dovessimo rispondere di no, non è detto che sia il peggiore dei mali!  Quello che voglio dire è che la Carità non può essere soggetta alla logica dell’efficienza o dell’uso oculato dei beni.  Essa tante volte è apparentemente insensata, sprecona, per nulla efficiente…. ed è Carità autentica, perché al centro di quell’azione c’è la persona.

    Se declinassimo la parola Carità con amore ci potrebbero venire in mente alcune situazioni di sapore familiare, per esempio: una nonna per “amore” della famiglia non prepara forse il pranzo della domenica come se a tavola dovesse mettere a sedere 50 persone invece che dieci?  Un innamorato per la sua innamorata, forse, per una ricorrenza particolare, non organizza una cenetta in quel ristorantino… che alla fine della serata gli fa pagare come se avessero mangiato per una settimana?…   Non per niente biblicamente l’incontro dell’umanità con il Signore viene descritto come  un  banchetto  di  “grasse vivande”:  un  contesto  di  spreco  più  che  di parsimonia. 

    Non voglio inneggiare allo spreco, tradirei me stesso e sbaglierei pubblico, ma far riflettere sul fatto che per paure nostre, perché siamo ancora acerbi nel cammino verso una conversione piena all’accoglienza dell’altro, ci diamo tante buone ragioni per impedire alla vera Carità di percorrere le “sue“ vie e finiamo così per standardizzarla dietro parametri di povertà entro cui rientrare, bisogni da dimostrare con documenti….

    La Carità dice S. Paolo: ” è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.  Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. (1 Cor 13,4-8). 

    Al termine di queste riflessioni sparse, penso di poter condividere con voi che rispondere all’invito di Gesù sul dare da mangiare, da bere, da vestire… va sempre legata la domanda: “sto facendo solo delle cose oppure mi faccio anche carico della persona che ho davanti?”.  Allora anche un’alzata di voce non sarà più un gesto di prepotenza ma un autentico gesto di Carità.

    Il tempo liturgico dell’Avvento ci insegna che il povero noi non lo scansiamo ma lo accogliamo, anzi, lo attendiamo con trepidazione. 

    Buon Avvento e Natale di Gesù povero.

Don Andrea  

 

La Speranza cristiana –  Educare alla speranza  

 (Dall’udienza generale di Papa Francesco del 20.11.2017)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
    La  catechesi  di  oggi  ha  per  tema:  “educare alla speranza”.    E per questo io la rivolgerò direttamente, con il “tu”, immaginando   di parlare come educatore,  come padre a un giovane, o a qualsiasi persona aperta ad imparare.
   Pensa, lì dove Dio ti ha seminato, spera! Sempre spera.
    Non  arrenderti  alla  notte:  ricorda  che  il  primo  nemico  da sottomettere non è fuori di te: è dentro.  Pertanto,  non concedere  spazio  ai pensieri amari, oscuri.  Questo mondo è il primo miracolo che Dio ha fatto,   e  Dio  ha messo nelle  nostre  mani la grazia  di nuovi  prodigi.   Fede  e  speranza  procedono  insieme.             .  .  .    .   Credi all’esistenza delle verità più alte e più belle. Confida in Dio Creatore,  nello  Spirito Santo  che  muove  tutto  verso  il  bene, nell’abbraccio di Cristo che attende ogni uomo alla fine della sua esistenza;  credi,  Lui ti aspetta.  Il mondo cammina grazie allo sguardo  di  tanti  uomini  che  hanno  aperto  brecce,  che hanno costruito  ponti,  che  hanno  sognato  e  creduto;  anche quando intorno a sé sentivano parole di derisione.
   Non pensare mai che la lotta che conduci quaggiù sia del tutto inutile.   Alla fine dell’esistenza non ci aspetta il naufragio:  in noi palpita un seme  di assoluto.   Dio  non delude: se  ha  posto  una speranza  nei  nostri  cuori,  non la vuole stroncare  con  continue frustrazioni.  Tutto nasce per fiorire  in un’eterna primavera. Anche Dio ci ha fatto per fiorire.  Ricordo quel dialogo, quando la quercia ha chiesto al mandorlo: “Parlami di Dio”.   E il mandorlo fiorì.
   Ovunque tu sia, costruisci!  Se  sei  a terra,  alzati!   Non rimanere mai caduto, alzati, lasciati aiutare per essere in piedi.  Se sei seduto, mettiti  in cammino!  Se la noia ti paralizza, scacciala con le opere di bene!   Se ti senti vuoto o demoralizzato, chiedi che lo Spirito Santo possa nuovamente riempire il tuo nulla.    Opera  la  pace in mezzo agli uomini,  e non ascoltare la voce  di chi sparge odio e divisioni.   Non ascoltare queste voci.  Gli esseri umani,  per quanto  siano diversi gli uni dagli altri,  sono stati creati per vivere insieme.   Nei contrasti, pazienta: un giorno scoprirai che ognuno è depositario di un frammento di verità.
   Ama le persone.  Amale ad una ad una.  Rispetta  il  cammino di tutti, lineare o travagliato che sia, perché ognuno ha la sua storia da raccontare. Anche  ognuno di noi ha la propria storia da raccontare.  Ogni bambino che nasce è la promessa di una vita che ancora una volta si dimostra più forte della morte.  Ogni amore che sorge è una potenza di trasformazione che anela alla felicità.
   Gesù ci ha consegnato una luce che brilla nelle tenebre: difendila, proteggila.   Quell’unico lume è la ricchezza più grande affidata alla  tua vita.
   E soprattutto, sogna!  Non avere paura di sognare. Sogna! Sogna un  mondo  che  ancora  non  si vede, ma che di certo arriverà.  La speranza  ci  porta  a credere all’esistenza di una creazione che  si estende fino al suo compimento definitivo, quando Dio sarà tutto in tutti.   Gli  uomini capaci di immaginazione hanno regalato all’uomo scoperte scientifiche e tecnologiche. Hanno solcato gli oceani, hanno calcato  terre  che  nessuno  aveva  calpestato  mai.   Gli  uomini che hanno  coltivato  speranze sono  anche quelli che hanno  vinto  la schiavitù, e portato migliori condizioni di vita su questa terra.  Pensate a questi uomini.
   Sii responsabile di questo mondo e della vita di ogni uomo.  Pensa che ogni ingiustizia contro un povero è una ferita aperta, e sminuisce la tua stessa dignità.   La  vita non cessa con la  tua esistenza, e  in questo  mondo  verranno  altre  generazioni  che succederanno alla nostra, e tante altre ancora.  E ogni giorno domanda a Dio il dono del coraggio.  Ricordati che Gesù ha vinto per noi la paura.              .    .   Lui ha vinto la paura!  La nostra nemica più infida non può nulla contro la fede.  E quando ti troverai impaurito davanti a qualche difficoltà della vita,  ricordati che tu non vivi solo per te stesso.  Nel Battesimo  la tua vita è già stata immersa nel mistero della Trinità e tu appartieni a Gesù.  E se un giorno ti prendesse lo spavento, o tu pensassi che  il male è troppo grande per essere sfidato, pensa semplicemente che Gesù vive in te.  Ed è Lui che, attraverso di te, con la sua mitezza vuole sottomettere tutti i nemici dell’uomo:  il peccato, l’odio,  il crimine, la violenza; tutti nostri nemici.
   Abbi  sempre  il  coraggio della verità,  però  ricordati:  non  sei superiore  a nessuno.  Ricordati  di  questo:  non  sei  superiore a nessuno.  Se tu fossi rimasto anche l’ultimo a credere nella  verità, non  rifuggire  per questo  dalla  compagnia degli  uomini.   Anche   se  tu  vivessi  nel  silenzio  di  un  eremo,  porta  nel  cuore  le sofferenze di ogni creatura.  Sei cristiano;  e  nella preghiera tutto riconsegni a Dio.
   E coltiva ideali. Vivi per qualcosa che supera l’uomo.   E se un giorno questi  ideali  ti  dovessero  chiedere  un  conto  salato da pagare,  non smettere mai di portarli nel tuo cuore.  La fedeltà ottiene tutto.
   Se sbagli,rialzati: nulla è più umano che commettere errori, quegli stessi errori non devono diventare per te una prigione.  Non essere ingabbiato nei tuoi errori.  Il Figlio di Dio è venuto non per i sani, ma per    i malati: quindi è venuto anche per te.  E se sbaglierai ancora in futuro, non temere, rialzati!  Sai perché?  Perché Dio è tuo amico.
   Se ti colpisce l’amarezza,  credi fermamente in tutte le persone che ancora operano per il bene: nella loro umiltà c’è il seme di un mondo nuovo.   Frequenta  le  persone  che  hanno  custodito il cuore come quello  di un bambino.  Impara dalla meraviglia, coltiva lo stupore.
 Vivi, ama, sogna, credi.  E, con la grazia Dio, non disperare mai.   (Francesco)  

 

Ho proposto di pubblicare questa lettera di Michele Gesualdi, primo allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, perché solleva un problema di grande importanza, quello del cosiddetto testamento biologico, cioè il rispetto delle ultime volontà di chi, malato senza speranza, chiede di non accanirsi inutilmente con le cure.
E’ un documento di grande dignità e sofferenza, scritto da un uomo di fede profonda e che ha lottato e lotta fino all’ultimo accanto agli emarginati per un mondo di giustizia.
Ci sarà certamente chi non lo condivide, come è giusto sia in una comunità adulta e seria, ma non lo si può ignorare e la riflessione ci aiuterà ad avvicinarci al Natale con maggiore consapevolezza. . . . . . . Roberto
Michele Gesualdi Lettera ai Presidenti della Camera e del Senato e ai Capi Gruppo parlamentari
(La lettera è stata materialmente redatta il 13 marzo 2017 ma spedita solo alla fine di ottobre).
Mi chiamo Michele Gesualdi, qualcuno di voi probabilmente ha sentito parlare di me perché sono stato presidente della provincia di Firenze per due legislature e allo scadere dei mandati sono stato sostituito da Matteo Renzi.
Oggi vi scrivo per implorarvi di accelerare l’approvazione della legge sul testamento biologico, con la dichiarazione anticipata di volontà del malato, perché da tre anni sono stato colpito dalla malattia degenerativa Sla e alcuni sintomi mi dicono che il passaggio al mondo sconosciuto non potrebbe essere lontano.
I medici mi hanno informato che in caso di grave crisi respiratoria può essere temporaneamente superata con tracheotomia come in caso di ulteriore difficoltà a deglutire si può ricorrere alla Peg (Gastrotomia endoscopica percutanea).
La Sla è una malattia spaventosa, al momento irreversibile e incurabile. Avanza , togliendoti giorno dopo giorno un pezzo di te stesso: i movimenti dei muscoli della lingua e della gola, che tolgono completamente la parola e la deglutizione, i muscoli per l’articolazione delle gambe e delle braccia, quelli per il movimento della testa , e respiratori e tutti gli altri. Alla fine rimane uno scheletro rigido come se fosse stato immerso in una colata di cemento.
Solo il cervello si conserva lucidissimo insieme alle le sue finestrelle cioè gli occhi, che possono comunicare luce ed ombre, sofferenza, rammarico per gli errori fatti nella vita, gioia e riconoscenza per l’affetto e la cura di chi ti circonda.
Se accettassi i due interventi invasivi mi ritroverei uno scheletro di gesso con due tubi, uno infilato in gola con attaccato un compressore d’aria per muovere i polmoni e uno nello stomaco attraverso il quale iniettare pappine alimentari .
Per quanto mi riguarda in modo molto lucido ho deciso di rifiutare, ogni inutile intervento invasivo ed ho scritto la mia decisione chiedendo a mia moglie di mostrarla ai medici affinché rispettino la mia volontà.
Quando mia moglie e i miei figli mi hanno visto ridotto ad uno scheletro dovuto alla difficoltà di deglutire, mi hanno implorato di accettare almeno l’intervento allo stomaco per essere alimentato artificialmente perché sarebbe stato un dono anche un solo giorno in più che restavo con loro. Questo mi ha messo in crisi e ho ceduto anche per sdebitarmi un po’ nei loro confronti.
A cosa fatta, confermo tutti i motivi dei miei rifiuti, che consistono nel fatto che non sono interventi curativi, ma solo finalizzati a ritardare di qualche giorno o qualche settimana l’irreparabile, che per il malato, significa solo allungare la sofferenza in modo penoso e senza speranza.
Per i malati di Sla la morte è certa, e può essere atroce se giunge per soffocamento. C’è chi sostiene che rifiutare interventi invasivi sia una offesa a Dio che ci ha donato la vita.
La vita è sicuramente il più prezioso dono che Dio ci ha fatto e deve essere sempre ben vissuta e mai sprecata. Però accettare il martirio del corpo della persona malata, quando non c’è speranza né di guarigione né di miglioramento, può essere percepita come una sfida a Dio. Lui ti chiama con segnali chiarissimi e rispondiamo sfidandolo , come se si fosse più bravi di lui, martoriando il corpo della creatura che sta chiamando, pur sapendo che è un martirio senza sbocchi .
Personalmente vivo questi interventi come se fosse una inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione.
Come tutti i malati terminali negli ultimi 100 metri del loro cammino, pregano molto il loro Dio, e talvolta sembra che il silenzio diventi voce e ti dica : “Hai ragione tu ,offese a me sono altre, tra queste le guerre e le ingiustizie sociali perpetuate a danno della umanità. Chi mi vuole bene può combatterle con concrete scelte politiche, sociali, sindacali , scolastiche e di solidarietà ”. Di fronte a queste parole rimane una grande serenità che ti toglie la voglia di piangere e urlare . Ti resta solo l’angoscia per le persone che ami e che ti amano.
Quando mia moglie ha saputo che in caso di crisi respiratoria durante la notte non ha altra scelta che chiamare il 118 e che il medico di bordo o quelli del pronto soccorso, possono rifiutarsi di rispettare la volontà del malato e procedere ad interventi invasivi, si è disperata e mi ha detto: “se ti viene di notte una crisi forte non posso chiuderti in camera e assistere disperata in silenzio a vederti morire. Sarebbe per me un triplice dramma: tremendamente sola di fronte alla tragedia, non poter corrispondere a un tuo desiderio, anche se sofferta da me e dai figli e l’immenso dolore di perderti”.
Per l’insieme di questi motivi sono a pregarvi di calarvi in simili drammi e contribuire ad alleviarli con l’accelerazione della legge sul testamento biologico.
Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciar libero l’interessato, lucido, cosciente e consapevole, di non essere inutilmente torturato e di levare dall’angoscia i suoi familiari che non desiderano sia tradita la volontà del loro caro.
La rapida approvazione della legge sarebbe un atto di rispetto e di civiltà che non impone ma aiuta e non lascia sole tante persone e le loro famiglie.
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Il filo del noi

Troppo spesso viviamo episodi in cui si contrappone l’io al tu, il voi al noi: e, se fa male sentirlo dire da persone che frequentano il Comitato come frequentanti occasionali (“io ti do della bella roba, ma perché mi fai tante storie ”, “tanto a voi la roba ve la regalano”…..), fa male al cuore sentirselo dire da volontari e soci (“quando accendete il riscaldamento?”, “voi del reparto A”, “noi del reparto B”….).
Ed è per questo che, leggendo un prezioso volumetto di Vincenzo Paglia “Il crollo del noi” e riallacciandomi all’articolo di Annamaria su Caldarola nel precedente giornalino, in cui stimola una modalità di espressione (i verbi coniugati al “noi”) che è anche modalità di vita (apertura agli altri senza riserve, essere prima di avere), vorrei riannodare il filo del noi, il filo della fraternità (spero non sembri una parola troppo grossa).
In verità questo filo esile del noi al Comitato non si è mai spezzato, ma forse ora è il momento di rafforzarlo e con questo abbracciare il mondo, perché i tempi lo richiedono.
Viviamo infatti in un tempo in cui “conta solo se stessi” e “la speranza è sequestrata”, in cui l’ indifferenza individuale per gli affetti comuni premia i furbi e genera il disordine degli affetti.
Dobbiamo reinventare la fraternità, anziché chiederci “chi sono io?” riflettiamo su “per chi sono io?”, dobbiamo convincerci che non è vero che la mia libertà comincia dove finisce quella dell’altro ma che “comincia dalla liberazione dell’altro” .
La fraternità è un legame che ci precede, esiste da sempre e non si cancella: Gesù chiamava i discepoli fratelli.
Reinventarla con lo strumento dell’incontro e non dello scontro, favorendo ogni sforzo volto a costruire anche se provoca errori.
Il fondamento della fraternità è “il mistero dell’utopia”, in nessun luogo perché in ogni luogo, aperti ad ogni chiamata.
Dalle origini siamo un noi: riscopriamo allora la prossimità, le relazioni fraterne, la fraternità ospitale: il mercatino sarà la prima occasione!
R. G.

 

SORRIDIAMO INSIEME
Un giovane missionario viene inviato in uno sperduto villaggio primitivo dove è accolto con gran gioia dalla popolazione, Una decina di giorni dopo il capo tribù scrive al Vescovo del missionario in Europa per chiedere l’invio di un altro sacerdote; il Vescovo gli chiede il perché della richiesta, temendo che il pretino avesse combinato qualche guaio e il capo tribù risponde: “Perché il primo l’abbiamo finito”.
In un paesino due sposi sono angosciati perché non riescono ad avere figli; chiedono consiglio al parroco che li invita ad andare a Lourdes ad accendere un cero alla Madonna. Dopo alcuni anni il parroco, che non aveva più saputo niente, va a casa loro, trova una bimbetta e due gemellini che giocano; la bimba fa: “La mamma è a scuola a ritirare il grande”; “E il papà?” fa il sacerdote; “Il papà è andato a Lourdes a spegnere la candela”.
Un ragazzino di una tribù di cannibali va a scuola per il primo giorno; è accompagnato da un bimbetto. La maestra chiede: “Perché hai portato questo bimbo? E’ troppo piccolo per venire a scuola”. “No signora maestra, lui è la mia merenda”
La catechista chiede ad un ragazzino: “Quanti sono i sacramenti?”. E il ragazzo pronto: “Sono 6”. “No, ti sbagli, sono 7”. Il ragazzo: “No, sono 6 perché mio padre dice che matrimonio e penitenza sono la stessa cosa”.
Un cannibale si sta leccando le dita e fa: “Quel signore era veramente una persona squisita!”
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LE FRASI
Due brevi ma significative frasi, la prima è di Annalena, la seconda, recente, di Papa Francesco. Non occorrono certo commenti per comprenderle.
– Se tu hai due tuniche nell’armadio, una è dei poveri.
– Per il cielo non vale ciò che si ha ma ciò che si da.
NUOVI SOCI
Accogliamo in amicizia i nuovi soci:
Garavini Agata – al reparto cassonetti
Angelini Carlo – al reparto mobili/ferramenta

A TUTTI I SOCI, COLLABORATORI, SOSTENITORI, TANTI AUGURI DI UN BUON NATALE E DI UN SERENO, FECONDO E PIENO DI PACE NUOVO ANNO 2018, E, A TUTTI COLORO CHE IL COMITATO AIUTA, QUI E NEL MONDO, AUGURIAMO…. CHE NON NE ABBIANO PIU’ BISOGNO.

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